domenica 30 ottobre 2016

UN GIORNO INDIMENTICABILE

Tutti sanno che l’elefante barrisce. Ma oltre al classico e famoso “barrito” questo gigante gentile emette, di fatto, brontolii, urla, strombazzamenti e numerosi altri suoni composti che rendono la sua comunicazione acustica molto ricca e intensa.
La mattina presto del 30 settembre c’era un’aria tesa al lodge. Non credo nessuno di noi sia riuscito a dormire. Eravamo tutti in allerta. Sapevamo certamente fossero elefanti, ma non avevamo idea di cosa stesse succedendo tra di loro. Tra barriti nervosi, strombazzamenti impazienti, e movimenti stranamente rumorosi, si sentiva in sottofondo un costante brontolio sofferente. Brrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr brrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr brrrrrrrrrrrrrrrrr brrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr brrrrrrrr. Il suo ritmo era scostante ma continuo. Un concerto onestamente un pochino angosciante durato quasi due ore. All’improvviso è calato il silenzio che ci ha permesso di dormire in tranquillità giusto quell’oretta prima che i bimbi si alzassero. Fuori casa nostra gli elefanti erano arrivati quatti a mangiare e farsi ammirare, come se nulla fosse accaduto.

Pensavamo sarebbe stato un nuovo giorno speciale come molti di questa che chiamiamo “stagione degli elefanti” in cui i grandi pachidermi arrivano a pochi passi da noi, sereni, tranquilli, pacifici a mostrarsi in tutta la loro mastodontica bellezza.
Ma quella mattina, quel 30 settembre è stato e sarà per sempre IL giorno speciale, un giorno indimenticabile. Ai tavoli della colazione, tra caffè e uova strapazzate gli ospiti erano intenti a raccontarsi le sensazioni provate quella notte fonda. Entusiasti, esausti, indispettiti, affascinati, impauriti, preoccupati, angosciati. Ce n’era di tutti i gusti! Le nostre guide avevano suggerito due possibilità per spiegare quel baccano: poteva esserci stato un incontro amoroso (ma poco intimo) tra elefanti, oppure poteva essere nato un nuovo elefante. La risposta era a pochi passi da noi.
Appena oltre la zona parcheggio del lodge, un’elefantessa brucava serena. Si vedeva un piccolo elefante con lei ma non si poteva capire se era appena nato. Così ho fatto una cosa molto stupida ma che rifarei un milione di altre volte: ho seguito a piedi la macchina di alcuni ospiti che stava andando via dal lodge e che si era fermata ad ammirare l’elefantessa. Protetta dalla macchina sono arrivata a pochissimi metri da lei e ho potuto costatare che il piccolo era proprio appena nato! Si teneva sulle quattro zampe a malapena, aveva le orecchie rosa e l’aria persa tipica dei cuccioli appena venuti al mondo e trasparivano quel senso di amore infinito e gratitudine per la mamma che solo i neonati sanno provare. Saltando dalla gioia sono corsa indietro per confermare a tutti quelli rimasti al lodge che era nato un elefantino proprio a casa nostra! Mio marito Simone continuava a dirmi di calmarmi, che sembravo scema, che ero stata una pazza ad avvicinarmi a piedi ad una mamma con un cucciolo, ma proprio non riuscivo a contenere la gioia! Poco più tardi ci siamo avvicinati nuovamente con una delle nostre macchine per vederlo da vicino e seguire i suoi primi incerti movimenti. È un maschio. Lui, così dolce e buffo, si è anche appoggiato alla macchina per sorreggersi dopo una faticosa camminata di tre metri! La sua mamma sbuffava nervosa agitando le sue grandi orecchie, indispettita per l’imprudenza del figlio! Come posso raccontarvi un momento come quello??? Magico! Avete presente la magia? Magico!
Ho fatto qualche ripresa video ma classicamente il telefono si è spento sul più bello! Fortuna che in macchina con noi c’era Annalisa Losacco, documentarista appassionata di Africa e elefanti (pensa che combinata quel giorno per lei!) che ha fatto senza dubbio riprese favolose tra i moniti preoccupati di Simone e i sospiri increduli e felici miei.

Nella nostra razza, sono i genitori del nascituro che scelgono l’ospedale o la casa in cui avverrà il parto. Nel caso degli elefanti l’intera famiglia sceglie il posto in cui far nascere il cucciolo. Solitamente in un branco ci sono per lo più femmine. I maschi, superati i 6 anni, si allontanano e vivono in solitaria gravitando attorno al gruppo delle femmine. Non essendoci maschi, la matriarca capo branco deve essere assolutamente certa che in occasione del parto non ci siano pericoli che la distraggano dal ruolo di ostetrica che dovrà assumere insieme alle sorelle, cugine, zie e madre della partoriente. La scelta del posto diventa una decisione, direi, cruciale.
La mia gioia era ed è certamente legata alla nascita di un nuovo elefantino ma era ed è arricchita in modo sostanzioso dalla consapevolezza che la sua famiglia ha scelto casa nostra per darlo alla luce. Non è una circostanza fortunata; è una prova di fiducia; è un segno che il nostro lavoro è a impatto vicino allo zero; è il valore aggiunto che rende significativo un evento già miracoloso di suo. 
Nkasa, così abbiamo chiamato il nuovo arrivato, ha mosso i suoi primi passi nel giardino di casa nostra. La mamma lo ha guidato per un giorno interno tra le tende e i pannelli solari; lo ha condotto traballante fino al piccolo stagno rimasto davanti al lodge e lo ha infine portato via al tramonto ricongiungendosi con il resto del branco.
In questa storia non c’è retorica né manipolazione. Forse un po’ di quel sano egocentrismo che ti permette di capire che il modo in cui vivi influisce sul modo di CON vivere con gli altri e con la natura. Non siamo soli; quello che facciamo e come lo facciamo ha delle conseguenze.
Noi, dal 30 settembre, siamo gli zii di un elefantino!

sabato 22 novembre 2014

IDENTITA'


Mi ritrovo a scrivere dopo un anno e mezzo. Un dato indicativo del fatto che non sono una persona costante e che forse non ho abbastanza il coraggio di esprimere le mie idee.
Ultimamente ciò che stimola maggiormente il mio estro letterario non sono tanto le cose belle che mi accadono, quanto piuttosto quelle che mi infastidiscono. 
Ettore, la nuova gravidanza, il legame con la famiglia, la natura, l'orgoglio per il lavoro che facciamo, mi lasciano senza parole. Non ci sono. O forse sì ma non le trovo esplicative.
Le cose che m’infastidiscono invece hanno il potere di farmi trovare un mondo di parole e in alcuni casi di crearne di nuove. Avendo la possibilità di parlare e comprendere più o meno bene 3 lingue i neologismi vengono da soli e, come i suoni onomatopeici, rendono perfettamente la situazione.
Allora perché non dargli spazio a queste parole?
Perché per il lavoro che faccio, non sta bene.
Ecco, non poter dire quello che penso perché ricopro una posizione, è una grande frustrazione per me. Immagino lo sia per molti, ma io proprio non riesco a gestirla.
Cartesio disse un tempo COGITO ERGO SUM. Pur non avendo la certezza che quella cartesiana sia una verità assoluta, ho scoperto già da molto tempo che la MIA identità non risiede in ciò che faccio quanto piuttosto in ciò che sono, penso e aggiungo in ciò che sento e che scelgo. La ritengo una scoperta fortunata giacché PENSO che siano davvero poverini quelli che gridano con sdegno e boria “Lei non sa chi sono io!” riferendosi alla loro posizione sociale e/o economica, e non certo al loro essere pensante per due ovvi motivi consequenziali: se fossero “qualcuno” perché pensanti non si riterrebbero diversi da altri in quanto tali. Certamente ciascuno pensa a modo suo ed in questo risiedono le differenze.
Nulla osta che qualcuno decida di essere ciò che fa. Siamo tutti liberi (in teoria) anche di rinchiuderci nei nostri ruoli.
Il mio mi sta a volte molto stretto. Fare l’assistente del manager mi riesce relativamente bene ma esserlo direi non mi riesce affatto. La diplomazia, la pacatezza, la calma, necessarie in alcuni casi non sono doti che mi appartengono. Così mi sono beccata in diverse occasioni calci sotto il tavolo e occhiatacce di avvertimento che mi hanno addomesticato a frenare la lingua o addirittura ad allontanarmi perché le espressioni del mio viso purtroppo (o per fortuna) non siamo ancora riusciti a controllarle.
Ma in castigo nel mio ufficio come faccio a calmare il cuore che batte e il nervoso che sale? Come mai un estraneo che non rivedrò preferibilmente mai più ha il potere di rovinarmi la giornata?
Perché io sono così. Ho scelto di fare del rispetto per quello in cui credo la chiave di lettura della mia esistenza. Ed una delle cose in cui credo è che siamo tutti liberi di FARE o ESSERE ciò che vogliamo nei limiti del rispetto degli altri. Nel momento in cui il limite è valicato, è valicato per tutti. Se getti me o chiunque altro violentemente in un’arena senza motivo, non mi tolgo la polvere dal vestito o rimango attonita a guardare, scendo dai tacchi e mi metto in gioco.
“Ha iniziato lui” risponderei sbuffando se qualcuno mi chiedesse qualcosa.
Probabilmente mio figlio, anzi i miei figli, non dovrebbero sentirle queste cose da me… la mamma RUOLO non dovrebbe insegnare la legge del taglione. Ma la mamma ESSERE sì però.
Non credo all’efficacia della punizione divina. O meglio ci credo ma la ritengo troppo lontana. Nel frattempo i ladri, gli assassini, gli stupratori, i pedofili, gli usurai, i maleducati, i prepotenti chi li ferma dal non rispettare gli ALTRI?
Mica li fermo io. Ma se tutti noi non avessimo paura di dire quello che pensiamo… mi viene da sognare al solo pensiero… un mondo migliore… Pane al pane, vino al vino.  In modo rispettoso, sia chiaro.
PENSO che quelli che si prendono la libertà di prevaricare gli altri sono talmente egocentrici (e non mi scuso per il giudizio di valore) che sono in grado di relazionarsi solo contando sulla connotazione generica, sul ruolo appunto, che per definizione non ha vita: l’altro, la gente, il bambino, il politico, il banchiere, la maestra, il commerciante, il povero, il ricco, il capo, il dipendente, lo straniero, lo sconosciuto. Se considerassero costoro come ESSERI PENSANTI ci penserebbero due volte.
Non voglio rievocare il sistema dell’occhio per occhio, dente per dente, ma una rivisitazione in chiave moderna si potrebbe fare dando alla parola in quanto voce del pensiero un ruolo chiave. Parola per occhio, parola per dente, che significa che ciascuno si deve assumere la responsabilità delle proprie azioni. In fondo non è forse un principio assodato della dinamica quello che stabilisce che AD OGNI AZIONE CORRISPONDE UNA REAZIONE UGUALE E CONTRARIA?
Ah già il ruolo… che frustrazione!!
Mi consolo prendendo coscienza che pur non esprimendolo il mio pensiero esiste lo stesso. E allora facciamo che non lo dico ma lo scrivo.
Attento ospite ingrato e maleducato a passare il limite. Te lo metto in camera il link del blog dove puoi scoprire la reazione alla tua supponenza! Sei sempre libero di non leggere, il che non aiuterebbe a metterti al tuo posto ma aiuta comunque me a rispettare il mio ESSERE.

mercoledì 1 maggio 2013

SPERANZA


Ci sono momenti in cui le cose non vanno bene. Ci sono momenti in cui, lontano di casa, proprio non ti capisci con la gente del Paese che ti ospita. Non importa quanto tempo si spenda a spiegarsi, non importa quante parole nella lingua del posto sai. Proprio non c’è nulla da fare. Incomunicabilità e incomprensione sembrano insuperabili, insopprimibili. Si fa largo a passi felpati la frustrazione nella presa di coscienza di vivere come Don Chisciotte.
Semmai ci si chiedesse disperatamente dove risiedono le cause di tutto ciò, ci s’imbarcherebbe in un sentiero pericoloso che naturalmente troverebbe le sue spiegazioni in giudizi di valore che poco hanno di soggettivo, legati all’educazione ricevuta, alla cultura in cui sei cresciuta e inevitabilmente razzisti, fondati cioè sulle differenze di base culturale e sociologica. È una questione di prospettive. Il punto di vista di un bambino è diverso da quello di un adulto; quello di un cane da quello del gatto; quello di un uomo da quello di una donna; quello del sole da quello della luna. Quello di una generazione da quello di un’altra. Non c’è dato scegliere a quale categoria appartenere. Non è più bella una dell’altra o migliore o giusta più una dell’altra. Sono semplicemente diverse e ad un tratto, per scelta, si trovano a convivere. E la convivenza come si sa, non è cosa facile perché ciascuno ha il suo modo di vedere, capire, sentire le cose. Comprendersi e venirsi incontro non sono cose da poco e in alcuni casi sono impossibili. Per superare la frustrazione legata alle differenze, ci vuole una maturità e capacità di accettazione/rassegnazione da cui, non credevo, sono ancora molto, molto lontana. Ma c’è una cosa che mi tiene ancora a galla e mi da la speranza e la forza di andare avanti: l’AMORE. L’amore per gli altri, l’amore per questo infinito mondo ed il desiderio di vederlo migliore. Se non avessi questa attitudine avrei gettato la spugna molto tempo fa.
È anche per questo, amore mio, che ti chiamerai Ettore. Perché, non importa a che prezzo, non si voltano le spalle all’amore e ai valori in cui si crede.

giovedì 22 novembre 2012

MOVE


Per la prima volta dopo quattro mesi mi ritrovo seduta a bere un caffè, RILASSATA, davanti alla splendida vista dalla terrazza di Nkasa. Rabbrividisco commossa per la pace che emana questo posto. Il ventre si contrae nell’osservare l’imperfetta perfezione della natura nella sua totalità. Un martin pescatore si tuffa in decisa picchiata nel canale e si guadagna la sopravvivenza di oggi a discapito di quella di uno sfortunato pesciolino. Nell’acqua si disegnano piccoli cerchi che si espandono prima di svanire lentamente. Arriva il vento da lontano, prima delicato poi violento. Il rumore è dolce e soave.
Il vento ha un ruolo bellissimo nell’universo: regala il movimento a tutto ciò che sovrasta. Il movimento…
Anche gli alberi, esemplari intramontabili di stabilità e solidità si arrendono al vento. Le chiome si abbandonano, si piegano lascive al suo passare e il loro godimento si può respirare. L’acqua accarezzata dolcemente dalla brezza s’increspa, le nuvole corrono e si trasformano divertite, gli odori si rinvigoriscono, i colori si confondono, la voce della pace si perde nel fragore del vento. In questo momento, qui davanti a me, la natura vive il suo orgasmo con vivacità lasciandomi irrequieta... il richiamo del lontano non lo so domare…
Nessuno mai dovrebbe rimanere immobile nel nome della coerenza, per conto delle paure.
Bisognerebbe saper sempre quando e come IN-seguire il vento.

domenica 30 settembre 2012

VERSO CASA

1802,10 sono i chilometri che separano Nkasa Lupala dalla fattoria Utawaleza, la mia casa in Namibia e la mia casa in Malawi. Li abbiamo percorsi in due giorni e mezzo attraversando l'interminabile Zambia!
Il Malawi ci ha accolto poco prima del tramonto con i suoi colori, i suoi odori e la sua vivacità. La sua terra è rossa rossa e regala un contrasto senza fiato con le chiome verdi dei suoi alberi. Ci stupiamo di come la vegetazione sia ancora così rigogliosa nonostante sia quasi finita la stagione secca. Le piogge devono ancora arrivare, eppure sembra già tutto così vivo! Lungo le strade si riversano migliaia e migliaia di persone. Attraversando lo Zambia non abbiamo visto tutto questo movimento. D'altra parte lo Zambia è decisamente molto molto più grande del Malawi e conta la stessa popolazione, circa 14 milioni di persone. Qui invece, è un continuo coloratissimo viavai di gente! Le stoffe africane indossate dalle donne e con cui sono avvolti i bimbi, macchiano perfettamente il paesaggio! È tutto così come lo ricordo, come lo tengo dentro il mio cuore innamorato di questo paese. Le casette di mattoncini rossi con i tetti in paglia sempre sfasciati; le donne dal passo austero con i loro pesi sulla testa; le biciclette stracariche di ogni cosa; i sacchi di carbone lungo la strada; i banchetti con le patate dolci, le cipolle rosse e i pomodori impilati a piramide; i fumi degli ultimi incendi prima delle piogge; i camioncini lentissimi, affaticati dal peso insostenibile del numero eccessivo di passeggeri saliti o accostati esausti sul ciglio della strada; gli uomini seduti all'ombra dei grandi alberi; la musica dei villaggi; i bambini ed i loro indimenticabili piedi nudi.
Questo è il Malawi, vivido, caotico, coloratissimo. Qui è ogni volta e sempre di più casa mia.

domenica 2 settembre 2012

KARIYWAPA


02 settembre 2012

Dopo quasi tre settimane dalla sua nascita, Matiti e Paris hanno deciso che il loro ultimo figlio si chiama Kariywapa! In Shiyeyi, la lingua locale, significa "colui che non ha paura". Un nome che riempie di orgoglio il suo papà fiero e intelligente! Non sorride mai Matiti: dice che quando lo fa si sente un babbuino! Ma questa mattina tutto il suo corpo gioiva! Con gli occhi ridenti ed il sorriso trattenuto a stento ci ha annunciato la presa decisione! Sembra che abbia riposto mille aspettative in questo nome! Eshmael, il fratellino grande è felice come i genitori! La famiglia si è allargata e lui si sente improvvisamente più grande, più responsabile!
Kariywapa è ovviamente bellissimo, come i genitori! Ha la pelle morbida e piena di bollicine. Ai polsi e alle caviglie la mamma Paris gli ha allacciato braccialetti di filo da ricamo: secondo la loro cultura, tali braccialetti impediscono al latte assimilato di raggiungere le manine ed i piedini così che non diventino troppo grandi.
Avvolto nella sua coperta di lana, profuma di innocenza Kariywapa. Ha gli occhi profondi e persi nell'infinito da cui arriva. È ancora disorientato ma calmo e attento!
Kariywapa è pronto a vivere la sua vita
senza paura!
Buona vita, amore!

sabato 14 luglio 2012

FIDUCIA

Cesare mi fa pensare alla fiducia. Felice davanti a lui che viene a trovarci ogni giorno, mi chiedo cosa sia la fiducia, perchè la sento e la riconosco. Cesare si fida ciecamente di noi. In meno di due mesi ci siamo guadagnati la sua fiducia ed ora ci ha portato la sua famiglia. Dormono tranquilli nel canale qui davanti; non appena cala il sole, si avvicinano alla main area ed il piccoletto inizia a giocare con la mamma e il suo papone! Dalle loro schiene si tuffa a bomba in acqua e risale felice, pronto per un nuovo giro. Qualche settimana fa sono arrivati alla porta di casa nostra! Simone li cercava con la torcia e quando i nostri sguardi si sono incrociati c'è stato silenzio. Non si sono allontanati indispettiti. Hanno interrotto il loro "brucare" e si sono gustati l'incontro, come abbiamo fatto noi. Senza paura.
La fiducia è una necessità ed è magari per questo che ci circondiamo di persone di cui ci fidiamo e frequentiamo luoghi in cui ci sentiamo al sicuro. La fiducia è la necessità di sentirsi liberi. Liberi dalle paure, dalle preoccupazioni, dal giudizio, dall'imbarazzo. La fiducia è l'anticamera dell'amore perchè l'amore pretende libertà.
La presenza di Cesare qui, racconta una storia d'amore dal sapore speciale perchè LUI ha scelto di riporre la sua fiducia su una specie diversa. La paura del diverso è il male più grande che affligge il nostro mondo. Da Cesare abbiamo solo da imparare.
Cesare è libero. Con Cesare mi sento libera e felice anche IO.

giovedì 14 giugno 2012

BELLA GIOVENTÚ

Ellias Muzamai Samashazi ci aspetta contento nel cortile di casa sua. Non ci vede il nostro ospite. Siede a terra su di un tappeto di canne ed una coperta mentre aspetta che uno ad uno andiamo a stringergli la mano. Ha le gambe incrociate e tra di loro l'inseparabile, fedele bastone di legno. Le sue mani grandi stringono i piedi nudi per scaldarli. Alle sue spalle un paio di scarpe da ginnastica Nike. Sono nuove. Davanti a sè poggiato in terra ha un piccolo strumento musicale ed un cappello. Sorride un pò impacciato Ellias e non sa che attorno a lui sediamo impacciati anche noi. Matiti rompe l'imbarazzo facendo qualche battuta nella loro lingua, poi gli chiede di raccontare a noi makua, bianchi, un pò della sua vita. Gli occhi parlano anche se non vedono ed i suoi lentamente iniziano a sorridere soddisfatti. Parla nella sua lingua soavemente e ci racconta fiero di come era più difficile ma meno complicata la vita di un tempo. Non esisteva il concetto sociale del lavoro, ciascuno doveva badare a sè e alla propria famiglia. I soldi non erano necessari perchè ciò che serviva, ciò che era indispensabile, ce lo si procurava per conto proprio: acqua e cibo. Si poteva cacciare all'epoca... "Hai mai cacciato un leone Ba Muzamai?" chiede per noi Matiti.
Non credo che ci siano molte domande nella vita di un uomo che hanno il potere di farlo rinascere. Sul suo volto si irradia un sorriso felice, travolgente, commovente. Si intravede nei suoi occhi vitrei la lucidità del ricordo, la gioia e la nostalgia. Sembra un bimbo quando ci racconta di quando con un suo amico hanno abbattuto un leone. Tutto il suo corpo parla muovendosi gioioso al ritmo battuto dalla memoria. Lui con la sua rudimentale lancia faceva da esca mentre l'altro con il suo rudimentale martello era pronto ad attaccare l'ignaro leone una volta distratto dalla preda. Non ci ha nascosto la paura di quel giorno, di quando attonito si è trovato sotto l'enorme felino colpito alla testa mentre si era oramai lanciato contro di lui... che giorno memorabile..
Una pausa e con lei arriva il silenzio che gli chiude la bocca e gli spegne il sorriso. Abbassa lo sguardo Ellias e gli si gonfia il cuore di nostalgia. Cala su di lui e su di noi il grigiore del suo presente. Con estrema delicatezza prende tra le mani quel suo piccolo strumento musicale. Le sue dita dimostrano di sapersi muovere sulla minuta tastiera senza bisogno di essere guidati dalla vista. La sua musica è soave, dolce, gentile, la sua voce ha le stesse caratteristiche. Ci ringrazia di esserlo andati a trovare, di aver rivissuto con lui il suo passato glorioso, di quando era forte, di quando era indomabile, di quando poteva ancora vedere "GRAZIE BIANCO PER AVERMI INCONTRATO, GRAZIE BIANCO PER AVERMI ASCOLTATO". 
Ha condiviso con noi la sua storia Ellias e ci è grato per questo.
Forse non sa che il dono più grande lo ha fatto lui a noi perchè il sapore di questo malinconico incontro si è fissato sulla pelle ed io, personalmente, lo continuo a respirare. 
Sulle note di una delle più significanti canzoni che porto con me, Bella Gioventù di Renato Zero, ringrazio te Ellias Muzamai Samashazi. Grazie di cuore.




giovedì 31 maggio 2012

UN FORTUNATO INCONTRO


30 maggio 2012


Ci ha avvisati Matiti, una delle nostre super guide, che nel parco si poteva ammirare uno straordinario momento di vita. Emozionati ed impazienti saliamo in game viewer con tutto il nostro staff. Cherio ha trentotto anni e non ha mai visto un leone! Armati di binocoli e macchine fotografiche guidiamo per circa 10 minuti nel parco nazionale Nkasa Lupala. Intravediamo la macchina bianca che guida Matiti. Ci avviciniamo e all'improvviso ci fermiamo. Tra lui e noi un avvallamento. Tra lui e noi un fortunato incontro. Un povero sfortunato bufalo a terra esanime e sventrato circondato da un due leonesse meticolose. Il nostro staff non trattiene gemiti di stupore e meraviglia. Solo Cherio e' sbalordita in silenzio. Facciamo troppo baccano ed i leoni non gradiscono. Poco dopo si allontanano e ci allontaniamo anche noi. Dopo pranzo Simone ed io torniamo curiosi nel parco sperando di trovarli ancora lì. Con molta più cura ed attenzione cerchiamo un angolo dove appostarci. Saliamo quatti quatti una cunetta e sorridiamo allo spettacolo che si apre davanti a noi. Non appena ci sentono corrono a nascondersi dietro le fronde del bush. Rimane curiosa e di guardia solo una delle leonesse. Su di un albero alla nostra sinistra sono appostati famelici gli avvoltoi. Ce ne sono tantissimi anche, notiamo, più distanti. Tra di loro un marabù.
Sono immobili e vigili, custodi pazienti di un pasto assicurato. Attendono. Uno di loro coraggiosamente sorvola un paio di volte la carcassa, ma la leonessa si lancia a ricordare il rispetto degli ordini gerarchici e senza curarsi di noi si mette a mangiare. È così che funzione nella foresta e lei ce lo sta facendo notare in diretta. Oramai abbiamo spento il motore. Lentamente prendono confidenza anche le altre due leonesse e con loro i festosi cuccioletti! Ce ne sono sei! C'è anche un semi adulto. Giocano e mangiano, si riposano all'ombra dei cespugli e tornano a giocare tra di loro e sulle spalle delle mamme! È meraviglioso. Non so come descriverlo. In lontananza scorgiamo il leone. È Ndavhu, il re di questo parco. Osserva attento e distaccato senza scomporsi mentre digerisce il suo pasto. Non ha mosso la coda nemmeno quando siamo rumorosamente arrivati noi. Gli altri sono corsi a nascondersi e lui è rimasto lì, impassibile, padrone indiscusso della foresta. Si è alzato un momento per cambiare posizione e abbiamo potuto scorgere la sua bella panciona piena! Lui ha mangiato per primo: è il re!

Improvvisamente assistiamo ad una magia. Alla nostra destra un elefante frange le fronde e fa il suo ingresso nella scena! Sembra un film ed invece è tutto vero! I cuccioli si allontanano di corsa in reverenziale rispetto per le dimensioni ingestibili del nuovo ospite. Due delle leonesse li seguono premurose, mentre l'indomabile guardiana, rimane lì a gustarsi il povero bufalo. Ndavhu alza la criniera ma non si muove. L'elefante dal canto suo, oltrepassate le fronde dei cespugli, si ferma un istante per inquadrare la situazione. Sembra sentirsi fuori posto, imbarazzato, come ad aver inopportunamente interrotto un momento di pravacy, come a non voler testimoniare la triste sorte del bufalo. Attraversa veloce la scena scuotendo il suo testone. E tornano a padroneggiare i leoni.
Siamo rimasti tre ore appostati, affascinati, ammirati da questo indescrivibile incontro. Senza molte parole li lasciamo alle prese con la loro meritata preda. Sembrano insaziabili. Chissà, magari domani sarà il turno degli avvoltoi.









mercoledì 9 maggio 2012

BLU COBALTO

07 maggio 2012

Domani torno alla civiltà. 20 giorni lontano da casa. Ascolto musica mentre sulla terrazza più alta di Nkasa mi godo la bellezza di Venere che brilla sempre più forte, mentre scende arancio e rosa il giorno per far spazio alla notte. Con il crescere del ritmo della versione acustica di Blu Cobalto, emerge dall'acqua, proprio qui davanti a me, l'ippopotama (che qualcuno sostiene essere il mio Cesare scomparso) e subito dietro il piccolo Cesare Augusto. Consumano sereni il loro pasto, uno dietro l'altra, indipendenti ma inseparabili. Sto vivendo la vita in diretta e mi sento tirare verso il cielo. Non so se ho bisogno di civiltà. Non so se ho bisogno di riposare. In punta di piedi sulle ultime note del brano, mi rendo conto che mi mancherà questo luogo magico che con gli occhi chiusi mi regala l'impressione di poter volare.