sabato 22 novembre 2014

IDENTITA'


Mi ritrovo a scrivere dopo un anno e mezzo. Un dato indicativo del fatto che non sono una persona costante e che forse non ho abbastanza il coraggio di esprimere le mie idee.
Ultimamente ciò che stimola maggiormente il mio estro letterario non sono tanto le cose belle che mi accadono, quanto piuttosto quelle che mi infastidiscono. 
Ettore, la nuova gravidanza, il legame con la famiglia, la natura, l'orgoglio per il lavoro che facciamo, mi lasciano senza parole. Non ci sono. O forse sì ma non le trovo esplicative.
Le cose che m’infastidiscono invece hanno il potere di farmi trovare un mondo di parole e in alcuni casi di crearne di nuove. Avendo la possibilità di parlare e comprendere più o meno bene 3 lingue i neologismi vengono da soli e, come i suoni onomatopeici, rendono perfettamente la situazione.
Allora perché non dargli spazio a queste parole?
Perché per il lavoro che faccio, non sta bene.
Ecco, non poter dire quello che penso perché ricopro una posizione, è una grande frustrazione per me. Immagino lo sia per molti, ma io proprio non riesco a gestirla.
Cartesio disse un tempo COGITO ERGO SUM. Pur non avendo la certezza che quella cartesiana sia una verità assoluta, ho scoperto già da molto tempo che la MIA identità non risiede in ciò che faccio quanto piuttosto in ciò che sono, penso e aggiungo in ciò che sento e che scelgo. La ritengo una scoperta fortunata giacché PENSO che siano davvero poverini quelli che gridano con sdegno e boria “Lei non sa chi sono io!” riferendosi alla loro posizione sociale e/o economica, e non certo al loro essere pensante per due ovvi motivi consequenziali: se fossero “qualcuno” perché pensanti non si riterrebbero diversi da altri in quanto tali. Certamente ciascuno pensa a modo suo ed in questo risiedono le differenze.
Nulla osta che qualcuno decida di essere ciò che fa. Siamo tutti liberi (in teoria) anche di rinchiuderci nei nostri ruoli.
Il mio mi sta a volte molto stretto. Fare l’assistente del manager mi riesce relativamente bene ma esserlo direi non mi riesce affatto. La diplomazia, la pacatezza, la calma, necessarie in alcuni casi non sono doti che mi appartengono. Così mi sono beccata in diverse occasioni calci sotto il tavolo e occhiatacce di avvertimento che mi hanno addomesticato a frenare la lingua o addirittura ad allontanarmi perché le espressioni del mio viso purtroppo (o per fortuna) non siamo ancora riusciti a controllarle.
Ma in castigo nel mio ufficio come faccio a calmare il cuore che batte e il nervoso che sale? Come mai un estraneo che non rivedrò preferibilmente mai più ha il potere di rovinarmi la giornata?
Perché io sono così. Ho scelto di fare del rispetto per quello in cui credo la chiave di lettura della mia esistenza. Ed una delle cose in cui credo è che siamo tutti liberi di FARE o ESSERE ciò che vogliamo nei limiti del rispetto degli altri. Nel momento in cui il limite è valicato, è valicato per tutti. Se getti me o chiunque altro violentemente in un’arena senza motivo, non mi tolgo la polvere dal vestito o rimango attonita a guardare, scendo dai tacchi e mi metto in gioco.
“Ha iniziato lui” risponderei sbuffando se qualcuno mi chiedesse qualcosa.
Probabilmente mio figlio, anzi i miei figli, non dovrebbero sentirle queste cose da me… la mamma RUOLO non dovrebbe insegnare la legge del taglione. Ma la mamma ESSERE sì però.
Non credo all’efficacia della punizione divina. O meglio ci credo ma la ritengo troppo lontana. Nel frattempo i ladri, gli assassini, gli stupratori, i pedofili, gli usurai, i maleducati, i prepotenti chi li ferma dal non rispettare gli ALTRI?
Mica li fermo io. Ma se tutti noi non avessimo paura di dire quello che pensiamo… mi viene da sognare al solo pensiero… un mondo migliore… Pane al pane, vino al vino.  In modo rispettoso, sia chiaro.
PENSO che quelli che si prendono la libertà di prevaricare gli altri sono talmente egocentrici (e non mi scuso per il giudizio di valore) che sono in grado di relazionarsi solo contando sulla connotazione generica, sul ruolo appunto, che per definizione non ha vita: l’altro, la gente, il bambino, il politico, il banchiere, la maestra, il commerciante, il povero, il ricco, il capo, il dipendente, lo straniero, lo sconosciuto. Se considerassero costoro come ESSERI PENSANTI ci penserebbero due volte.
Non voglio rievocare il sistema dell’occhio per occhio, dente per dente, ma una rivisitazione in chiave moderna si potrebbe fare dando alla parola in quanto voce del pensiero un ruolo chiave. Parola per occhio, parola per dente, che significa che ciascuno si deve assumere la responsabilità delle proprie azioni. In fondo non è forse un principio assodato della dinamica quello che stabilisce che AD OGNI AZIONE CORRISPONDE UNA REAZIONE UGUALE E CONTRARIA?
Ah già il ruolo… che frustrazione!!
Mi consolo prendendo coscienza che pur non esprimendolo il mio pensiero esiste lo stesso. E allora facciamo che non lo dico ma lo scrivo.
Attento ospite ingrato e maleducato a passare il limite. Te lo metto in camera il link del blog dove puoi scoprire la reazione alla tua supponenza! Sei sempre libero di non leggere, il che non aiuterebbe a metterti al tuo posto ma aiuta comunque me a rispettare il mio ESSERE.

2 commenti:

  1. Ho letto con grande attenzione ed interesse le tuo parole, ed ora non ho parole.
    Grande!!!

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  2. Grazie Andrea! E scusa il ritardo nel risponderti!

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