Mi ritrovo a scrivere dopo un anno e mezzo. Un dato
indicativo del fatto che non sono una persona costante e che forse non ho
abbastanza il coraggio di esprimere le mie idee.
Ultimamente ciò che stimola maggiormente il mio
estro letterario non sono tanto le cose belle che mi accadono, quanto piuttosto
quelle che mi infastidiscono.
Ettore, la nuova gravidanza, il legame con la
famiglia, la natura, l'orgoglio per il lavoro che facciamo, mi lasciano senza
parole. Non ci sono. O forse sì ma non le trovo esplicative.
Le cose che m’infastidiscono invece hanno il potere
di farmi trovare un mondo di parole e in alcuni casi di crearne di nuove.
Avendo la possibilità di parlare e comprendere più o meno bene 3 lingue i
neologismi vengono da soli e, come i suoni onomatopeici, rendono perfettamente
la situazione.
Allora perché non dargli spazio a queste parole?
Perché per il lavoro che faccio, non sta bene.
Ecco, non poter dire quello che penso perché
ricopro una posizione, è una grande frustrazione per me. Immagino lo sia per
molti, ma io proprio non riesco a gestirla.
Cartesio disse un tempo COGITO ERGO SUM. Pur non
avendo la certezza che quella cartesiana sia una verità assoluta, ho scoperto
già da molto tempo che la MIA identità non risiede in ciò che faccio quanto piuttosto
in ciò che sono, penso e aggiungo in ciò che sento e che scelgo. La ritengo una
scoperta fortunata giacché PENSO che siano davvero poverini quelli che gridano
con sdegno e boria “Lei non sa chi sono io!” riferendosi alla loro posizione
sociale e/o economica, e non certo al loro essere pensante per due ovvi motivi
consequenziali: se fossero “qualcuno” perché pensanti non si riterrebbero
diversi da altri in quanto tali. Certamente ciascuno pensa a modo suo ed in
questo risiedono le differenze.
Nulla osta che qualcuno decida di essere ciò che
fa. Siamo tutti liberi (in teoria) anche di rinchiuderci nei nostri ruoli.
Il mio mi sta a volte molto stretto. Fare l’assistente
del manager mi riesce relativamente bene ma esserlo direi non mi riesce
affatto. La diplomazia, la pacatezza, la calma, necessarie in alcuni casi non
sono doti che mi appartengono. Così mi sono beccata in diverse occasioni calci
sotto il tavolo e occhiatacce di avvertimento che mi hanno addomesticato a
frenare la lingua o addirittura ad allontanarmi perché le espressioni del mio
viso purtroppo (o per fortuna) non siamo ancora riusciti a controllarle.
Ma in castigo nel mio ufficio come faccio a calmare
il cuore che batte e il nervoso che sale? Come mai un estraneo che non rivedrò
preferibilmente mai più ha il potere di rovinarmi la giornata?
Perché io sono così. Ho scelto di fare del rispetto
per quello in cui credo la chiave di lettura della mia esistenza. Ed una delle
cose in cui credo è che siamo tutti liberi di FARE o ESSERE ciò che vogliamo
nei limiti del rispetto degli altri. Nel momento in cui il limite è valicato, è
valicato per tutti. Se getti me o chiunque altro violentemente in un’arena
senza motivo, non mi tolgo la polvere dal vestito o rimango attonita a guardare,
scendo dai tacchi e mi metto in gioco.
“Ha iniziato lui” risponderei sbuffando se qualcuno
mi chiedesse qualcosa.
Probabilmente mio figlio, anzi i miei figli, non
dovrebbero sentirle queste cose da me… la mamma RUOLO non dovrebbe insegnare la
legge del taglione. Ma la mamma ESSERE sì però.
Non credo all’efficacia della punizione divina. O
meglio ci credo ma la ritengo troppo lontana. Nel frattempo i ladri, gli
assassini, gli stupratori, i pedofili, gli usurai, i maleducati, i prepotenti chi
li ferma dal non rispettare gli ALTRI?
Mica li fermo io. Ma se tutti noi non avessimo
paura di dire quello che pensiamo… mi viene da sognare al solo pensiero… un
mondo migliore… Pane al pane, vino al vino. In modo rispettoso, sia chiaro.
PENSO che quelli che si prendono la libertà di
prevaricare gli altri sono talmente egocentrici (e non mi scuso per il giudizio
di valore) che sono in grado di relazionarsi solo contando sulla connotazione
generica, sul ruolo appunto, che per definizione non ha vita: l’altro, la
gente, il bambino, il politico, il banchiere, la maestra, il commerciante, il
povero, il ricco, il capo, il dipendente, lo straniero, lo sconosciuto. Se
considerassero costoro come ESSERI PENSANTI ci penserebbero due volte.
Non voglio rievocare il sistema dell’occhio per occhio,
dente per dente, ma una rivisitazione in chiave moderna si potrebbe fare dando alla
parola in quanto voce del pensiero un ruolo chiave. Parola per occhio, parola
per dente, che significa che ciascuno si deve assumere la responsabilità delle
proprie azioni. In fondo non è forse un principio assodato della dinamica
quello che stabilisce che AD OGNI AZIONE CORRISPONDE UNA REAZIONE UGUALE E
CONTRARIA?
Ah già il ruolo… che frustrazione!!
Mi consolo prendendo coscienza che pur non
esprimendolo il mio pensiero esiste lo stesso. E allora facciamo che non lo
dico ma lo scrivo.
Attento ospite ingrato e maleducato a passare il
limite. Te lo metto in camera il link del blog dove puoi scoprire la reazione
alla tua supponenza! Sei sempre libero di non leggere, il che non aiuterebbe a
metterti al tuo posto ma aiuta comunque me a rispettare il mio ESSERE.
Ho letto con grande attenzione ed interesse le tuo parole, ed ora non ho parole.
RispondiEliminaGrande!!!
Grazie Andrea! E scusa il ritardo nel risponderti!
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